Il digiuno intermittente è diventato una delle strategie alimentari più discusse degli ultimi anni.
Negli ultimi anni il digiuno intermittente si è imposto come una delle strategie nutrizionali più popolari, non solo tra i sostenitori del benessere ma anche all’interno della comunità scientifica.
Non si tratta di una dieta tradizionale, bensì di un modello alimentare che alterna periodi di digiuno a finestre temporali di alimentazione. Ma può davvero aiutare nella lotta contro l’obesità e migliorare la salute cardiometabolica?
Cosa significa digiuno intermittente
Le modalità più comuni sono:
Schema 16:8, che prevede 16 ore di digiuno e 8 ore di alimentazione.
Schema 5:2, cinque giorni di alimentazione regolare e due giorni con forte restrizione calorica.
Alternate Day Fasting, digiuno a giorni alterni.
Un recente lavoro pubblicato su Annual Review of Nutrition (Patterson & Sears, 2017) evidenzia come tutti questi approcci abbiano effetti simili sul metabolismo, anche se la sostenibilità varia da individuo a individuo.
Digiuno intermittente e obesità
Secondo una metanalisi del 2021 su JAMA Network Open (Harris et al.), il digiuno intermittente produce una perdita di peso media di 4–8% in 8–12 settimane, un risultato paragonabile a quello delle diete ipocaloriche tradizionali.
Un altro studio randomizzato, pubblicato su The New England Journal of Medicine (Wei et al., 2020), ha mostrato che il digiuno a giorni alterni non è superiore alla restrizione calorica continua in termini di dimagrimento, ma può risultare più facile da seguire per alcuni soggetti.

Impatti cardiometabolici
La ricerca ha documentato effetti interessanti anche sul profilo cardiometabolico:
Insulina e glicemia: uno studio su Cell Metabolism (Sutton et al., 2018) ha dimostrato che il cosiddetto “early time-restricted feeding” (alimentazione concentrata nelle prime ore della giornata) migliora sensibilità insulinica e pressione arteriosa indipendentemente dalla perdita di peso.
Colesterolo e trigliceridi: una revisione sistematica su Nutrition Reviews (Cioffi et al., 2018) segnala una riduzione dei livelli di trigliceridi e LDL, con un potenziale aumento dell’HDL.
Infiammazione cronica: ricerche su animali e umani (Longo & Mattson, Cell Metabolism, 2014) evidenziano un calo di marker infiammatori come la proteina C-reattiva, associata a rischio cardiovascolare.
Meccanismi biologici
Gli scienziati ipotizzano diversi meccanismi alla base di questi benefici:
Riduzione dei livelli di insulina, con maggiore mobilizzazione dei grassi.
Attivazione dell’autofagia, processo di “riciclo” cellulare che protegge dal danno ossidativo.
Reset dei ritmi circadiani, che favorisce un migliore equilibrio ormonale e metabolico.
Limiti e rischi
Non mancano tuttavia criticità.
Alcuni studi segnalano difficoltà di adesione a lungo termine e possibili effetti collaterali (cefalea, irritabilità, disturbi del sonno). Inoltre, la pratica non è raccomandata a donne in gravidanza, persone con disturbi alimentari, pazienti diabetici in terapia insulinica o soggetti con patologie croniche non monitorate.
Gli esperti ricordano che il digiuno intermittente non sostituisce una dieta equilibrata né l’attività fisica, ma può rappresentare un supporto strategico in contesti controllati.
La posizione della comunità scientifica
La comunità medica concorda nel ritenere il digiuno intermittente una strategia promettente ma ancora in fase di valutazione.
Una revisione su The New England Journal of Medicine (de Cabo & Mattson, 2019) conclude che il digiuno intermittente ha potenziali benefici su obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e perfino invecchiamento cellulare, ma sottolinea la necessità di studi di lungo periodo per valutarne sicurezza ed efficacia clinica.
Il digiuno intermittente non è una soluzione miracolosa né una moda passeggera: le evidenze cliniche mostrano che può contribuire alla perdita di peso e migliorare diversi parametri cardiometabolici, come glicemia, pressione arteriosa e profilo lipidico. Tuttavia, non appare superiore alle diete ipocaloriche tradizionali e resta ancora da chiarire il suo impatto a lungo termine sulla prevenzione di diabete e malattie cardiovascolari.
La sfida, dunque, non è solo dimostrare l’efficacia del digiuno, ma renderlo sostenibile e sicuro per chi decide di adottarlo.
In attesa di ulteriori studi pluriennali, la strada migliore resta quella di un approccio personalizzato, guidato da medici e nutrizionisti, che integri il digiuno intermittente in uno stile di vita equilibrato fatto di alimentazione sana, attività fisica e prevenzione.
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