Il mito della “vita universitaria spensierata” rischia di oscurare una realtà fatta di eccessi e fragilità.
Dietro i sorrisi delle foto di rito e l’entusiasmo dei primi giorni di lezione, si nasconde un fenomeno che preoccupa medici e ricercatori: le matricole universitarie italiane e europee sono sempre più esposte al rischio di sovrappeso e abuso di alcol.
Un problema che non riguarda solo la salute individuale, ma che solleva interrogativi sul ruolo delle istituzioni accademiche e sulla mancanza di politiche di prevenzione efficaci.
Il fenomeno: numeri che parlano
Secondo un’indagine condotta in Spagna su oltre 500 studenti, un quarto dei giovani universitari è classificato come bevitore ad alto rischio, mentre quasi l’8% mostra segnali di possibile dipendenza.
In parallelo, più della metà non segue una dieta equilibrata e quasi il 40% dichiara di mangiare in risposta a stress ed emozioni negative.
In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità confermano la tendenza: 1,3 milioni di giovani tra gli 11 e i 25 anni consumano alcol in modalità a rischio, con circa 786.000 binge drinkers. Numeri che, tradotti nella quotidianità universitaria, significano serate scandite da aperitivi, shot e cibi veloci, spesso consumati in solitudine o in contesti sociali dove la pressione del gruppo pesa più della consapevolezza dei rischi.
Le voci dal campus
«All’inizio è tutto nuovo: feste, uscite, libertà. Bere diventa quasi un rito di passaggio», racconta Martina, 20 anni, studentessa di Economia. «Non ti rendi conto che stai esagerando finché non ti accorgi di aver preso cinque chili in pochi mesi e di non riuscire a studiare con la stessa concentrazione».
Un docente di Psicologia dell’Università Statale di Milano, che preferisce restare anonimo, conferma: «Il problema non è solo il consumo di alcol, ma il suo intreccio con ansia, solitudine e pressione accademica. Molti ragazzi usano cibo e alcol come anestetico emotivo».
Le responsabilità
Gli esperti puntano il dito contro un sistema che lascia i giovani soli di fronte a queste sfide.
Le università italiane, a differenza di molte realtà anglosassoni, non offrono programmi strutturati di prevenzione né sportelli di supporto psicologico facilmente accessibili.
«Si parla tanto di eccellenza accademica, ma poco di salute studentesca», denuncia un medico del Policlinico di Milano. «Eppure, un ragazzo che sviluppa dipendenza da alcol o disturbi alimentari rischia di compromettere non solo il suo percorso di studi, ma la sua vita futura».
Le possibili soluzioni
Gli specialisti propongono interventi concreti:
Campagne di sensibilizzazione nei campus, con linguaggio diretto e vicino ai giovani.
Programmi di mentoring tra studenti senior e matricole, per ridurre l’isolamento.
Attività sportive e culturali come alternative sane alla socialità basata sull’alcol.
Servizi di counseling psicologico gratuiti e facilmente accessibili.
Se non si interviene subito, il prezzo da pagare sarà alto: una generazione di laureati con titoli accademici, ma con una salute già compromessa.
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